AUROBINDO YOGA SADHANA
Agosto 2025
AUROBINDO YOGA SADHANA
Agosto 2025
15 Agosto 2025
Significativamente, il 15 agosto si celebrano insieme sia l’anniversario della nascita di Sri Aurobindo (avvenuta nel 1872) che la liberazione dell’India dal dominio Britannico (avvenuta nel 1947). Quest’anno iniziano nello stesso giorno anche le celebrazioni per Sri Krishna Janmasthami, cioè per la nascita di Sri Krishna (avvenuta 5252 anni fa).
Sri Krishna è considerato uno dei principali avatara [incarnazione] del Divino, se non il Divino stesso nella sua Personalità suprema di amore, bellezza e gioia, ed è una figura che naturalmente ha esercitato e continua a esercitare tutt’oggi un’enorme influenza sul pensiero e sulla vita indiani e non solo.
Pubblichiamo quindi uno storico discorso pubblico di Sri Aurobindo, del 30 maggio 1909, tenutosi a Uttarpara, località nei pressi di Calcutta.
Rivolgendosi a una platea di circa diecimila persone, Sri Aurobindo, uscito dal carcere da meno di un mese, parla per la prima volta in pubblico di alcune delle sue prime esperienze spirituali.
Da questo discorso, interessantissimo sotto molti profili, si può evincere anche come la figura di Sri Aurobindo, la figura del Divino nella personalità di Sri Krishna, la liberazione dell’India e, congiuntamente, l’evoluzione umana su tutta la Terra, siano profondamente interconnesse fra di loro.
Buona lettura!
Quando fui arrestato e portato in tutta fretta al commissariato di Lal Bazar, per un po’ rimasi scosso nella fede, perché non riuscivo a scrutare fino in fondo alla Sua intenzione. Quindi per un attimo fui titubante e, in cuor mio, Gli esclamai: “Che cosa m’è successo? Credevo di avere una missione da compiere per il popolo della mia nazione e che, fintantoché quell’opera non si fosse conclusa, avrei avuto la Tua protezione. Allora perché ora sono qui e con una tale accusa?”
Trascorse un giorno, poi un altro e un altro ancora, finché non mi giunse da dentro una voce: “Aspetta e vedrai”. Allora mi calmai e attesi. Fui portato da Lal Bazar ad Alipore [carcere di Calcutta] e fui messo per un mese in una cella di isolamento, separato dagli altri uomini. Quindi attesi giorno e notte la voce di Dio dentro di me, per conoscere cosa avesse da dirmi, per capire cosa dovessi fare. In quell’isolamento, sopraggiunse la prima realizzazione, la mia prima lezione.
Ricordai che un mese, o poco più, prima del mio arresto, avevo ricevuto una chiamata interiore a mettere da parte ogni attività, a ritirarmi in solitudine e a guardare in me stesso, in modo da entrare in una comunione più profonda con Lui. Ero stato debole e non ero riuscito ad accettare quella chiamata. Mi premeva molto l’azione che stavo portando avanti e nell’orgoglio del mio cuore avevo pensato che se non ci fossi stato io, essa ne avrebbe sofferto o persino sarebbe fallita e venuta meno; di conseguenza io non l’avrei mai abbandonata.
Mi sembrò di nuovo che Egli mi parlasse e mi dicesse: “I legami che non hai avuto la forza di spezzare, li ho spezzati io per te, perché non è mia volontà né è mai stata mia intenzione che tutto ciò andasse avanti. Ho altro da fare per te ed è per questo che ti ho portato qui, per insegnarti ciò che non avresti potuto imparare da solo e per prepararti alla mia azione.”
Allora mi mise in mano la Gita [Bhagavad Gita]. La Sua forza penetrò in me e fui in grado di compiere la sadhana della Gita. Non dovevo soltanto comprendere intellettualmente, ma realizzare ciò che Sri Krishna richiede ad Arjuna e a tutti coloro che aspirano a fare il Suo lavoro: essere libero dall’avversione e dal desiderio, compiere l’azione per Lui ma senza pretenderne i frutti, rinunciare alla volontà egocentrica e diventare uno strumento passivo e ubbidiente nelle Sue mani, avere un sentimento equanime per chi sta in alto e chi sta in basso, per l’amico e per l’oppositore, per il successo e per il fallimento, e tuttavia non eseguire mai la Sua opera con negligenza.
Realizzai che cosa significasse la religione dell’India. Si parla spesso di religione dell’India, del Sanatana Dharma [il Dharma eterno], ma pochi di noi sanno che cosa sia questa religione. Altre religioni sono principalmente religioni di fede e di professione, ma il Sanatana Dharma è la vita stessa; è un qualcosa che non ha tanto bisogno di essere creduto, ma di essere vissuto. Questo è il Dharma che, fin dai tempi più antichi è stato preservato per la salvezza dell’umanità nell’isolamento di questa penisola. È per far dono di questa religione che l’India sta insorgendo.
L’India non insorge come fanno altre nazioni, solo per se stessa o, una volta divenuta potente, per mettersi sotto ai piedi chi è più debole di lei. Sta insorgendo per riversare sul mondo la luce eterna che le è stata affidata. L’India è sempre esistita per l’umanità, non per se stessa, ed è per l’umanità, non per se stessa, che dev’essere grande.
Quindi fu questa la seconda cosa che Egli mi indicò, – mi fece realizzare la verità centrale della religione indiana. Volse quindi i cuori dei miei secondini verso di me ed essi parlarono con il sopraintendente inglese del carcere: “Sta soffrendo nel suo confinamento; lasciate che cammini almeno mezzora al mattino e mezzora alla sera fuori della sua cella”. Così fu stabilito, e fu mentre camminavo che la Sua forza di nuovo entrò in me.
Guardai il carcere che mi segregava dagli altri uomini e non era più dalle sue alte mura che ero imprigionato; no, era Vasudeva [il Divino onnipresente, un nome di Krishna] che mi cingeva. Camminavo sotto i rami dell’albero di fronte alla mia cella, ma non era l’albero, seppi che era Vasudeva, era Sri Krishna che vedevo ergersi lì e fornirmi la Sua ombra. Guardai le sbarre della mia cella, l’inferriata stessa che faceva da porta e nuovamente vidi Vasudeva. Ed era lo stesso Narayana [il Divino presente in ogni uomo] che mi stava sorvegliando e che montava di sentinella. Oppure mi stendevo sulle ruvide coperte che mi erano state date per giaciglio e sentivo le braccia di Sri Krishna avvolgermi, le braccia del mio amorevole Amico. Questa fu la prima occasione di impiegare la visione più profonda che mi aveva donato.
Guardai i prigionieri nel carcere, i ladri, gli assassini, i truffatori, e mentre li guardavo vidi Vasudeva, era Narayana che scoprivo in queste anime oscurate e in questi corpi bistrattati. Fra questi ladri e briganti ve n’erano molti che mi fecero vergognare per la loro solidarietà, per la loro gentilezza, per l’umanità che trionfava sulle circostanze, così sfavorevoli, in cui ci trovavamo.
Ne vidi in particolare uno fra di loro che mi sembrò un santo, un contadino della mia nazione che non sapeva né leggere né scrivere, un presunto brigante a cui erano stati sentenziati dieci anni di carcere rigido, uno di quelli che nel nostro orgoglio di classe fariseo disprezziamo come chhotalok [un membro delle classi inferiori]. Ancora una volta Egli mi parlò: “Osserva la gente fra cui ti ho mandato a compiere una piccola parte del mio lavoro. Questa è la natura della nazione che sto facendo insorgere e la ragione per cui li sto facendo insorgere”.
Quando si aprì il processo al tribunale di primo grado e fummo condotti di fronte al Magistrato, fui accompagnato dalla stessa visione interiore. Mi disse: “Quando sei stato gettato in prigione, non ti sei forse perso d’animo e non mi hai esclamato: ‘Dov’è la Tua protezione?’ Guarda ora il Magistrato, guarda ora il pubblico ministero”. Guardai e non fu il Magistrato che vidi, c’era Vasudeva, c’era Narayana lì seduto al banco dei giudici. Guardai il pubblico ministero e non fu l’avvocato d’accusa che vidi; c’era Sri Krishna lì seduto, c’era il mio amorevole Amico lì seduto a sorridermi. “Hai ancora paura adesso?” mi disse, “Sono presente in tutti gli uomini e prevalgo sulle loro azioni e sulle loro parole. La mia protezione è ancora con te e non devi temere. Il processo che è stato intentato contro di te è nelle mie mani. Non preoccupartene. Non è per portarti in giudizio che ti ho condotto qui, ma per qualcos’altro. Il processo stesso è soltanto uno strumento per la mia opera, nulla più”.
In seguito, quando si aprì il processo alla Corte delle udienze, iniziai a scrivere molte istruzioni per il mio consulente legale, concernenti tutto ciò che vi era di falso nelle deposizioni contro di me e i punti sui quali si potevano controinterrogare i testimoni. Quindi accadde qualcosa che non mi aspettavo. Le disposizioni che erano state date per la mia difesa all’improvviso furono modificate e un altro legale ricevette l’incarico di difendermi. Successe inaspettatamente – era un mio amico, ma non avevo saputo della sua venuta.
Avete tutti sentito il nome di colui che allontanò da sé ogni altro pensiero e abbandonò ogni altra pratica e che, giorno dopo giorno, per mesi, è rimasto alzato per metà della notte, rimettendoci in salute, pur di salvarmi – Srijut Chittaranjan Das. Quando lo vidi, ne fui felice, ma ritenni ancora necessario scrivere delle istruzioni. Allora mi fu tolta ogni cosa dalle mani e ricevetti interiormente questo messaggio: “Questo è l’uomo che ti salverà dai ceppi che ti hanno messo ai piedi. Metti da parte quelle carte. Non sei tu che quello che lo istruirà. Lo istruirò io”.
Da quel momento non dissi più nemmeno una parola di mia volontà al mio consulente legale a riguardo del processo e non detti più alcuna istruzione, e se mai venivo interpellato, mi accorsi che la mia risposta non era di alcun aiuto nella causa. Lasciai fare a lui e lui si prese carico di tutto, e sapete quali poi siano stati i risultati.
Seppi per tutto il tempo dove Egli mi stava conducendo, perché Lo udivo frequentemente, ero sempre in ascolto della voce interiore: “Ti sto guidando, quindi non temere. Occupati del tuo lavoro, quello per cui ti ho portato in carcere, e quando ne uscirai, ricordati di non temere mai, di non esitare mai. Ricorda che sono io che sto facendo questa cosa, non tu o qualcun altro. Perciò qualunque nube sopraggiunga, qualunque pericolo e sofferenza, qualunque difficoltà, qualunque impossibilità, non esiste nulla di impossibile, nulla di difficile. Alle spalle della nazione e del suo insorgere ci sono io, e io sono Vasudeva, io sono Narayana, e ciò che io voglio, quello accadrà, non quello che altri vogliono. Quello che decido di far succedere, nessun potere umano può impedirlo.”
Nel frattempo mi aveva ricondotto fuori dalla solitudine e mi aveva posto fra quelli che erano stati accusati insieme a me. Oggi avete parlato molto del mio sacrificio personale e della mia devozione alla nazione. Ho ascoltato discorsi simili fin da quando sono uscito di prigione, ma li ascolto con grande imbarazzo, con qualcosa di simile al dolore. Perché conosco la mia debolezza, sono vittima dei miei stessi errori e delle mie stesse ricadute. Non ero cieco di fronte a essi nemmeno prima, ma quando, durante l’isolamento, sono emersi tutti insieme e mi si sono parati davanti, li ho avvertiti nella loro interezza. Allora capii che io, come uomo, ero un ammasso di debolezza, uno strumento difettoso e imperfetto, forte soltanto quando una forza superiore entrava in me.
Quindi mi ritrovai tra questi giovani e in molti di loro scoprii un coraggio enorme, un potere di abnegazione a confronto del quale io ero semplicemente una nullità. Ne vidi uno o due che non soltanto erano superiori a me per forza e per carattere – molti di loro lo erano – ma per la loro promettente abilità intellettuale, quell’abilità di cui andavo tanto fiero.
Mi disse: “Questa è la nuova generazione, la nuova e valorosa nazione che sta insorgendo al mio comando. Sono migliori di te. Di che cosa hai paura? Se ti facessi da parte o se ti mettessi a riposo, l’opera verrebbe compiuta ugualmente. Se tu un domani venissi messo da parte, ecco qui i giovani che prenderebbero in mano il tuo lavoro e che lo farebbero con più energia di quanto tu non lo abbia mai fatto. Tu hai avuto da me soltanto un po’ di forza per dire a questa nazione ciò che la aiuterà a risollevarsi”. Questa fu la cosa successiva che Egli mi disse.
Quindi, all’improvviso, accadde qualcosa e, in un attimo, fui riportato in tutta fretta all’isolamento della cella solitaria. Cosa mi sia accaduto in quel periodo, non sono tenuto a dirlo, eccetto che, giorno dopo giorno, mi mostrò le Sue meraviglie e mi fece realizzare per intero la verità della religione dell’India. Prima avevo molti dubbi. Sono stato tirato su in Inghilterra, in mezzo a idee estranee e in un’atmosfera totalmente estranea. Un tempo, rispetto a tante cose nell’Induismo ero incline a credere che fosse tutta immaginazione; che in esso ci fosse molto di onirico, molto di illusorio, che appartenesse a Maya.
Ora invece, giorno dopo giorno, realizzai nella mente, realizzai nel cuore, realizzai nel corpo le verità della religione dell’India. Diventarono per me delle esperienze viventi, ed ebbi accesso a delle realtà che nessuna scienza materiale è in grado di spiegare.
Quando all’inizio mi ero avvicinato a Lui, non era tanto nello spirito del Bhakta [chi segue lo Yoga della Devozione], non era tanto nello spirito dello Jnani [chi segue lo Yoga della Conoscenza]. Mi ero avvicinato a Lui tanto tempo fa, a Baroda, alcuni anni prima che lo Swadeshi [movimento per l’Indipendenza] iniziasse e che venissi trascinato nella pubblica arena.
Quando all’epoca mi ero avvicinato a Dio, non avevo affatto una fede ardente in Lui. Dentro di me c’era l’agnostico, c’era l’ateo, c’era lo scettico e non ero affatto sicuro che esistesse davvero un Dio. Non avvertivo la Sua presenza. Eppure qualcosa mi aveva condotto alla verità dei Veda, alla verità della Gita, alla verità della religione dell’India. Sentii che da qualche parte doveva pur esserci una potente verità nello Yoga e mi decisi a praticarlo per scoprire se la mia idea fosse corretta. Lo feci in questo spirito, e mi rivolsi a Lui con questa preghiera: “Se ci sei, allora conosci il mio cuore. Lo sai che non chiedo la Mukti [liberazione], non chiedo nulla di quello che gli altri chiedono. Ti chiedo solo la forza per risollevare questa nazione, Ti chiedo solo che mi venga permesso di vivere e di lavorare per questa gente che amo e alla quale prego di poter dedicare la mia vita”.
Mi impegnai a lungo per ottenere la realizzazione dello Yoga e alla fine, in qualche misura, la ottenni, ma, in quello che più desideravo, non ero ancora soddisfatto. Quindi, nell’isolamento della prigione, nella cella solitaria, glielo chiesi nuovamente. Dissi: “Dammi il Tuo Adesh [comando interiore]. Non so quale sia l’azione da compiere o come compierla. Dammi un messaggio”. Nella comunione dello yoga, giunsero due messaggi.
Il primo messaggio diceva: “Ti ho dato un compito ed è quello di aiutare a risollevare questa nazione. Fra non molto, giungerà il momento in cui dovrai uscire di prigione; perché non è mia volontà che in questa occasione tu venga riconosciuto colpevole o che tu debba trascorrere del tempo, come altri dovranno fare, soffrendo per la loro nazione. Ti ho chiamato all’opera, e questo è l’Adesh che mi avevi chiesto. Ti do l’Adesh di uscire e di realizzare la mia opera”.
Giunse il secondo messaggio e diceva: “In quest’anno di reclusione ti è stato mostrato qualcosa, qualcosa su cui nutrivi dei dubbi ed è la verità della religione dell’India. È questa la religione che sto portando in auge agli occhi del mondo, è questa la religione che ho perfezionato e sviluppato attraverso i rishi, i santi, gli avatara, e che ora sta per uscire a compiere la mia opera fra le nazioni. Sto risollevando questa nazione affinché diffonda il mio verbo. Questa religione è il Sanatana Dharma, è la religione eterna, che tu prima non conoscevi veramente, ma che ora ti ho rivelato.
L’agnostico e lo scettico che erano in te sono stati soddisfatti, perché ti ho dato delle prove dentro e fuori di te, prove fisiche e prove soggettive, che ti hanno persuaso. Quando uscirai, rivolgiti alla tua nazione dicendo sempre questo, che è per il Sanatana Dharma che insorgono, che è per il mondo e non per se stessi che insorgono. Gli sto dando la libertà affinché possano servire il mondo.
Quindi quando si dice che l’India risorgerà, è il Sanatana Dharma che risorgerà. Quando si dice che l’India crescerà, sarà il Sanatana Dharma a crescere. Quando si dice che l’India si espanderà e si estenderà, sarà il Sanatana Dharma a espandersi e a estendersi sul mondo. È per il Dharma e grazie al Dharma che l’India esiste. Portare in auge questa religione significa portare in auge questo paese. Ti ho mostrato che sono presente ovunque e in tutti gli uomini e in tutte le cose, che sono presente in questo movimento e che non sto operando soltanto in quelli che si stanno battendo per la nazione, ma che sto operando anche in chi a loro si oppone e si mette di traverso sulla loro strada.
Sto agendo in tutti e qualsiasi cosa gli uomini possano pensare o fare, non possono far altro che contribuire al mio intento. Anch’essi stanno compiendo la mia opera; non sono miei nemici ma i miei strumenti. In tutte le vostre azioni state procedendo senza sapere in quale direzione vi muoviate. Intendete fare una cosa e ne fate invece un’altra. Puntate a un risultato e i vostri sforzi contribuiscono invece a determinarne un altro, differente o contrario. È stata la Shakti [energia divina] a promanarsi e a entrare nelle persone. È da tanto tempo che sto preparando questa insurrezione e ora è giunto il suo momento e sarò io a condurla a compimento”
Questo quindi è quello che devo dirvi. Il nome della vostra società è “Società per la Protezione della Religione”. Bene, la protezione della religione, proteggere e portare in auge agli occhi del mondo la religione dell’India, questo è il lavoro che ci attende. Ma cos’è la religione dell’India? Cos’è questa religione che chiamiamo Sanatana, eterna? È la religione dell’India semplicemente perché è stata l’India a custodirla, perché in questa penisola è potuta crescere nell’isolamento del mare e dell’Himalaya, perché in questa terra antica e sacra è stata affidata alla razza aria affinché fosse preservata attraverso tutte le epoche. Ma non è circoscritta ai confini di un unico Paese, non appartiene esclusivamente e per sempre a una parte limitata del mondo.
Quella che chiamiamo la religione dell’India è in realtà la religione eterna, perché è la religione universale che abbraccia tutte le altre. Se una religione non è universale, non può essere eterna. Una religione limitata, una religione settaria, una religione che esclude le altre può esistere solo per un periodo di tempo limitato e per uno scopo limitato.
Questa è la religione che può trionfare sul materialismo includendo e anticipando le scoperte della scienza e le speculazioni della filosofia. È la religione che fa capire all’umanità quanto Dio ci sia vicino e che contiene nell’estensione suo abbraccio tutti i modi possibili con cui l’uomo può approcciarsi a Dio. È la religione che insiste a ogni istante sulla verità che tutte le religioni riconoscono, che Lui è presente in tutti gli uomini e in tutte le cose e che è in Lui che ci muoviamo e in Lui che ha dimora il nostro essere. È la religione che ci consente non solo di comprendere e di credere in questa verità, ma di realizzarla in ogni parte del nostro essere. È la religione che mostra al mondo quello che il mondo stesso è, la Lila [gioco cosmico] di Vasudeva. È la religione che ci mostra quale sia il miglior modo di prendere parte a questa Lila, quali siano le sue leggi più sottili e le sue regole più nobili. È la religione che non separa la vita dalla religione, nei benché minimi dettagli, che sa bene che cosa sia l’immortalità e che ci ha quindi tolto completamente di dosso il senso che la morte sia reale.
[…] Questo è il verbo che mi è stato messo in bocca oggi affinché ve lo comunicassi. […] Questo è il messaggio che dovevo darvi.
-o-
Per questa occasione pubblichiamo anche un canto devozionale della leggendaria poetessa-mistica indiana Mirabai (c. 1498-1546), figura di spicco del Bhakti Yoga, lo Yoga che si fonda sull’amore per il Divino.
Si dice di Mirabai che, noncurante delle convenzioni sociali, nella propria vita si sia interamente dedicata all’adorazione del Signore Sri Krishna attraverso le composizioni poetiche e il canto e che pur di seguire la propria inclinazione più profonda sia arrivata a rinunciare anche all’alto rango di principessa e all’aristocratica vita di corte nel regno di Mewar (Rajasthan).
Difatti, dopo la morte del marito principe erede al trono, ferito in battaglia, venne osteggiata nella propria devozione dalla famiglia di lui, che non vedeva di buon occhio il suo essere costantemente assorta nell’amore estatico per Sri Krishna e per la sua frequentazione di uomini santi, specie se appartenenti a caste di rango inferiore.
Indomita nella propria dedizione, anche dopo aver subito a palazzo vari tentativi di uccisione, lasciò la vita agiata di Mewar e si recò in pellegrinaggio a Vrinadavana, il piccolo villaggio agreste dove Sri Krishna visse la sua infanzia e prima giovinezza. Fu lì che la poetessa Mirabai trascorse il resto dei suoi anni.
Il canto è dedicato al risveglio all’alba di Krishna ancora bambino, nell’atmosfera semplice del villaggio di Vrindavana. In un certo senso, possiamo intenderlo anche come un invito al risveglio del Divino presente nel cuore di ciascuno di noi.