AUROBINDO YOGA SADHANA
Luglio 2025
AUROBINDO YOGA SADHANA
Luglio 2025
20 Luglio 2025
Il sole era tramontato, sulla sponda occidentale del fiume, fra l’intrico della foresta.
I ragazzi dell’eremitaggio avevano riportato il bestiame a casa e si erano seduti attorno al fuoco ad ascoltare il loro Maestro Gautama, quando un ragazzo sconosciuto giunse lì e lo salutò, offrendogli fiori e frutta, e, inchinatosi ai suoi piedi, parlò, con voce da uccellino. “Signore, sono venuto qui da te per essere condotto sul sentiero della verità suprema. Il mio nome è Satyakama”.
“Che tu sia benedetto” disse il Maestro. “A quale clan appartieni, figlio mio? È opportuno che soltanto un Brahmano aspiri alla sapienza più elevata”.
“Maestro,” rispose il ragazzo “non so a quale clan appartengo. Vado subito a chiederlo a mia madre”.
Detto questo, Satyakama si accomiatò e, guadando le acque poco profonde del fiume, fece ritorno alla capanna di sua madre, situata alla fine della distesa sabbiosa a margine del villaggio presso il quale vivevano e che ormai era già immerso nel sonno.
La lampada bruciava debolmente nella stanza, e Jabala, sua madre, era rimasta alla porta, nell’oscurità, in attesa del ritorno del figlioletto. Lo strinse quindi al petto, lo baciò sui capelli, e gli chiese come era andato il suo incontro con il Maestro.
“Mamma, qual’è il nome di mio padre?” chiese il ragazzo “È opportuno che soltanto un Brahmano aspiri alla sapienza più elevata, mi ha detto il Signore Gautama”.
La donna abbassò gli occhi, e parlò sommessamente “Quand’ero giovane, ero molto povera e ho avuto tanti padroni. Tu arrivasti fra le braccia di tua madre così, mio caro; ero senza un marito”.
I primi raggi del sole stavano scintillando sulle cime degli alberi dell’eremitaggio. Gli studenti, coi i capelli arruffati ancora bagnati dall'abluzione mattutina al fiume, sedevano sotto un antico albero, di fronte al loro Maestro.
Arrivò Satyakama, si inchinò ai piedi del Maestro e rimase in silenzio.
“Dimmi,” gli chiese allora quel grande Maestro, “a quale clan appartieni?”
“Mio signore, non lo so.” rispose. “Mia madre, quando gliel'ho chiesto, mi ha detto che ha servito molti padroni durante la sua giovinezza, e che io sono giunto fra le sue braccia così, pur non avendo lei avuto un marito”
In quel momento si sollevò un mormorio simile al ronzio arrabbiato delle api quando vengono disturbate nel loro alveare; gli studenti stavano bisbigliando fra loro quanto fosse privo di vergogna e insolente quel fuoricasta.
Il maestro Gautama si alzò allora dal suo seggio, allungò le braccia, strinse il ragazzo al petto, e gli disse: “Tu sei il migliore fra tutti i Brahmani. Tu hai il retaggio più nobile, quello della Verità”.
Tratto da Tagore - Fruit-gathering (1916)
[Tagore trasse a sua volta questa storia da un'antica Upanishad]
-o-
· Dire sempre la verità è il titolo nobiliare più elevato.
· Se permettiamo a una falsità, per quanto piccola, di esprimersi attraverso la nostra bocca o la nostra penna, come possiamo sperare di diventare dei perfetti messaggeri della Verità? Un servitore perfetto della Verità dovrebbe astenersi anche dalla minima inesattezza, esagerazione o distorsione.
La Madre - Words of the Mother
· L’impulso di dire quello che non è vero o almeno di esagerare o di minimizzare o di distorcere la verità in modo tale da assecondare la propria vanità, le proprie preferenze, le proprie voglie o di ottenere qualche vantaggio o di assicurarsi qualcosa che si desidera è assai comune. Ma si deve imparare a dire soltanto la verità, se si vuole riuscire davvero a cambiare la propria natura.
· Franchezza non significa naturalmente che si deve dire ogni cosa ai quattro venti – tenere le cose per sé, non dire ciò che non dovrebbe essere detto è oltremodo necessario; ma la falsità non è il giusto modo di mantenere segrete le cose che non vanno dette, il giusto modo è il silenzio.
· Nessuno è tenuto a dire la verità nel caso ciò possa arrecare un danno o a dire qualunque cosa abbia in mente; è sempre lecito restare in silenzio o evitare di rispondere e non dire quello che non si vorrebbe o si pensa non sia giusto raccontare. Ma dire una menzogna è superfluo e non è giustificabile.
· Di solito è per debolezza (della mente e del vitale) che la gente mente; chi per natura è forte non ha bisogno di mentire. Un sadhaka [ricercatore spirituale] deve essere forte e non debole – franco quando serve, riservato quando serve, ma mai un bugiardo.
Sri Aurobindo - Letters on Yoga